Che gli italiani siano un popolo di inventori, non c’è alcun dubbio. Proprio quest’anno ricorrono i 500 anni dalla morte del genio di Leonardo da Vinci, che resta il simbolo della nostra straordinaria capacità di inventare nuove cose.
Se le idee non mancano, allora perché siamo ancora indietro nello sviluppo del nostro ecosistema delle startup, rispetto ad altri Paesi europei? Una risposta interessante viene da uno studio che incrocia i dati di Ocse, del fondo P101 e di Crunchbase. Ecco cosa svela e qualche spunto di riflessione da cui partire per migliorare le cose in Italia.
Startupper italiani vs startupper del mondo
Il report si incentra soprattutto sull’aspetto della formazione. In Italia, il 10% dei fondatori di una startup possiede un PhD. Sembra un dato basso, ma non si discosta dalla media europea, solo Germania e Belgio fanno meglio con percentuali dal 15 al 18%.
La situazione cambia però sensibilmente se si considera un master MBA, che è in possesso di circa il 7% degli startupper italiani. Una media in linea con alcuni Paesi europei (come Svezia e Belgio) ma lontanissima da nazioni come Israele e Usa (18%) e mercati emergenti come Singapore (20%).
Italiani, imprenditori seriali
Un dato positivo è quello che riguarda gli startupper che hanno avuto una precedente esperienza imprenditoriale: nel mondo sono sopra il 20%, in Italia siamo intorno al 24%. Buone notizie anche sulla percentuale di donne fondatrici di startup, che sono l’11%, una cifra leggermente superiore alla media.
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Percentuali meno buone riguardano invece due aspetti: la quota di studenti imprenditori che lanciano business mentre intraprendono un percorso di studi (meno del 5%), rispetto alle medie più alte di Belgio, Francia, Usa e UK (10% in media). E poi c’è la questione brevetti, di cui ti parlo nel paragrafo successivo.
Il problema brevetti
I dati che ti ho mostrato finora, non si discostano molto da quelli europei. C’è però un numero su cui riflettere: la percentuale bassa (pari al 3%) di fondatori che sono anche detentori di brevetti. La cifra è irrisoria se prendiamo in considerazione Paesi come Svezia, Israele o Stati Uniti, dove siamo intorno al 15%.
Cosa indicano questi dati? Che c’è ancora una distanza da colmare tra gli istituti universitari e le startup, o più in generale il mondo dell’impresa. La buona notizia è che qualcosa si sta muovendo su questo fronte, con la nascita nelle università dei Competence Center, che dovrebbero migliorare la percentuale di studenti imprenditori e di studenti depositari di brevetti.
Non mancano le competenze
I dati analizzati fanno ben sperare: l’offerta di imprenditori dell’innovazione in Italia non è diversa rispetto a quella che individuiamo altrove. Il mercato del venture capital è ancora molto lento rispetto ad altri Paesi, però anche qui c’è movimento e assistiamo alla crescita del numero di investimenti.
Nel primo trimestre del 2019 sono stati raccolti da startup e scaleup italiane 133 milioni di euro. Per fare un confronto, lo scorso anno, negli stessi mesi, i finanziamenti erano poco più di 27 milioni.
Che il 2019 sia l’anno di svolta dell’ecosistema delle startup italiane? Io ci credo, e tu?