È arrivato in Apple l’11 marzo del 1998, quando l’azienda di Cupertino era sull’orlo del fallimento. Tim Cook ha portato la filosofia della produzione just in time, ovvero su ordinazione, azzerando i costi di magazzino. Ha scalato posizioni fino a diventare Ceo ad interim e, dopo la morte di Jobs, avere sulle sue spalle l’eredità di un impero, nell’agosto del 2011.
Tim Cook è riuscito nell’ardua impresa di sostituire una figura quasi religiosa come Steve Jobs e di vincere ogni scetticismo, raggiungendo traguardi incredibili, come:
- Portare Apple a una valutazione di 1.000 miliardi di dollari
- Quadruplicare le riserve di liquidità dell’azienda fino a 267 miliardi
- Vendere iPhone per un valore di 1.2 miliardi
- Lanciare prodotti innovativi (e di successo) come Apple Watch, Airpods, Apple Pay, sistemi di riconoscimento facciale ecc.
- Far virare l’azienda verso la sostenibilità ambientale (le strutture Apple oggi sono alimentate perlopiù da fonti di energia rinnovabile) e una maggiore tutela dei lavoratori delle sue fabbriche nei Paesi asiatici.
E tanto altro ancora. Oltre ai risultati, sulla sua grandezza come manager e Ceo, parlano alcuni episodi e delle sue dichiarazioni che ho scovato e raccolto per te dal libro “Tim Cook: il genio che ha cambiato il futuro di Apple”, che ti consiglio.
L’attenzione al dettaglio
Il libro racconta alcuni episodi che fanno capire bene la meticolosità con cui Cook svolge il suo ruolo appena entrato in Apple, da responsabile del comparto operativo. I dipendenti lo ricordano come un leader calmo e che, tuttavia, perde le staffe se nota che i suoi collaboratori sono impreparati o poco proattivi.
In un episodio, il protagonista è Sabin Khan, dirigente esecutivo di alto livello. Durante una riunione, emerge un problema con un fornitore cinese. Tim Cook sbotta: “Così non va qualcuno deve andare in Cina a risolvere la situazione”. Dopo qualche minuto, si rivolge a Khan e gli dice: “Cosa ci fai ancora qui?”. Di fronte alla sua sfuriata, Khan prende il primo aereo per la Cina e non passa neanche da casa a prendere un cambio di abiti.
Un grande Ceo è attento al dettaglio, agisce tempestivamente per risolvere un problema e pretende il massimo da tutti, perché lui dà il massimo.
La vita da maratoneta
Durante un’intervista, Tim Cook, amante dello sport – del ciclismo soprattutto – usa una similitudine che fa capire molto bene qual è la sua visione della vita in azienda:
«Negli affari, come nello sport, la stragrande maggioranza delle vittorie si decide prima che comincino i giochi. Difficilmente si può controllare la tempistica con cui si presentano le opportunità, quello che possiamo fare è controllare la nostra preparazione».
Basterebbe solo questa frase a dimostrarne la grandezza come uomo e come Ceo: un grande imprenditore non è quello più furbo o più intelligente degli altri, ma quello più preparato.
Le scelte che ti rendono un ceo impopolare
Un imprenditore non può mai accontentare tutti. Nella sua vita in Apple, Tim Cook ha saputo fare molte scelte impopolari. Alcune in particolare mostrano la sua capacità di guardare oltre. Si ritrova contro molti membri del CDA quando, per esempio, decide di licenziare una figura storica in Apple, Scott Forstall, l’uomo dietro al successo di MAC OS X, il sistema operativo sviluppato da Cupertino.
Forstall, durante la gestione di Tim, prende due cantonate: l’app di web mapping (lontana parente di Google Maps, è un insuccesso clamoroso) e anche SIRI, che nelle prime versioni non piace a nessuno. Di fronte alle lamentele degli utenti, Cook chiede a Forstall di scusarsi. Ma lui, fin troppo egocentrico, si rifiuta di farlo. È la goccia che fa traboccare il vaso. Forstall non viene fatto fuori per i suoi errori, ma perché ha anteposto gli interessi personali a quelli dell’azienda, quello che un buon manager non dovrebbe mai fare.
Sarà poi lo stesso Cook a scusarsi personalmente con gli utenti di questi fallimenti, mostrando un’altra qualità di un grande Ceo: la capacità di chiedere scusa di fronte a un errore suo o del suo team di lavoro.
Un secondo episodio mostra bene i nervi saldi del leader di Apple. Forse lo ricordi: siamo nel dicembre del 2015, all’indomani della strage di San Bernardino, una sparatoria terribile in un centro disabili, con più di 14 morti.
L’FBI chiede a Apple di accedere ai dati di un suo cliente, tra i responsabili della strage. In pratica, i federali chiedono all’azienda di fornire una backdoor, una porta secondaria di accesso, che avrebbe permesso all’agenzia governativa di accedere alle info del dispositivo iOS. Per questo l’FBI chiede a Apple di scrivere un nuovo codice software.
La pressione sulle spalle di Tim è tanta. Trump, allora candidato alla Casa Bianca, fa dei tweet al veleno contro Apple, chiedendo di boicottare i suoi prodotti. Una parte dell’opinione pubblica si schiera contro Tim Cook, etichettato come “amico dei terroristi”.
Cook in realtà sa bene che cambiare il sistema operativo avrebbe significato mettere a repentaglio la sicurezza di centinaia di milioni di utenti, creando un precedente pericoloso.
Malgrado abbia mezza stampa e l’opinione pubblica contro, Cook non cede di un millimetro. La vicenda finisce bene per lui e Apple: alla fine l’FBI riesce comunque a sbloccare il telefono della persona coinvolta nella strage e Cook ne esce vittorioso, come uno dei più strenui difensore dei diritti della privacy online.